Su Ulisse di
Valeria Serofilli
Chi potrebbe contare le rivisitazioni, le reinterpretazioni
della figura di Ulisse? Eroe sempre avido di nuove esperienze e nel contempo
stanco e desideroso di tornare dalla sua amata moglie. Ne esiste, come
sappiamo, anche una negativa di Saba, che si propone come un Ulisse che si
rifiuta di rientrare in porto, preferendo continuare all'infinito la sua
avventura conoscitiva.
Scegliamo quindi di parlare dei primi brani di questo nuovo
lavoro di Valeria Serofilli, quelli più propriamente "odissiaci". Si
tratta di cinque prose liriche che non ci pare sbagliato definire perle di
poesia, tanto per far riferimento ad un gioiello tipicamente marino. Sì, perché
non vi è dubbio che il mare, o, per meglio dire, il motivo dell'acqua faccia da
sfondo comune ad esse. Quando commentavamo la raccolta "Chiedo i
cerchi", cercavamo di mettere in luce l'importanza decisiva del tema
dell'acqua in quella raccolta. L'avevamo vista come grande metafora
dell'essere, con il quale l'Autrice tentava un dialogo tenace e inesausto. Ora
qui torna l'acqua in chiave, appunto, odissiaca, come veicolo di ricerca, ma
anche come deposito di angoscia, elemento infido su cui ci si può perdere, se
non si ha la volontà tenace di tornare, come appunto possiede Ulisse.
La dimensione epico‑eroica è lontana: abbiamo storie di
piccole odissee dei giorni nostri, odissee che vive soprattutto il cuore
femminile nella trepidazione della precarietà di un legame affettivo (Il sub) o di una gestazione che potrebbe
sfociare nell'infelicità di una vita (Sirena).
Un'altro dei temi dominanti della raccolta ci pare proprio questo senso
profondo dell'incertezza che domina la vita umana. Come l'Autrice stessa ha
sempre evidenziato, l'inizio della sua produzione risale ad un giorno di eclissi,
ossia al dodici agosto del 1999. Sarà una coincidenza che anche oggi, 20 marzo
2015, giorno in cui viene presentato questo libro, è stato un giorno di
eclissi? Comunque, la situazione di eclissi evoca la massima incertezza,
l'assoluta mancanza di confini precisi, il senso di un doppio inscindibile. Lo
scorgevamo quando scrivevamo sulla prima raccolta, gli "Acini
d'anima", e questo senso di doppio che non si può separare aleggia sempre
nelle altre raccolte, costante metafora delle ambiguità dell'esistenza.
Non sarà certo un caso che qua e là, e soprattutto alla fine
di "Sirena", si affacci l'invocazione alla "piccola anima
errabonda": essa è, come , noto, la traduzione del celebre incipit dell'imperatore Adriano, animula vagula blandula. Secondo la tradizione
egli scrisse questa breve lirica in punto di morte, al momento, cioè, in cui si
compiono tutte le scommesse della vita. Quale migliore simbolo dell'incertezza?
Animula vagula
blandula
hospes comesque
corporis:
quo nunc abibis? In
loca
pallidula, rigida,
nudula
nec, ut soles, dabis iocos!
Publius Aelius Adrianus
Andrea
Salvini