domenica 5 luglio 2015

Grecia e Occidente

Grecia e Occidente

Ci troviamo in una strana convergenza della Storia. Da una parte dobbiamo fronteggiare l'assalto del radicalismo islamico che rifiuta in blocco la civiltà occidentale. Se non andiamo errati, "boko haram", il nome dello "stato islamico" africano, vuol dire più o meno "la civiltà occidentale è peccato": dunque, secondo una certa parte del mondo islamico, tutti noi che viviamo nei cosiddetti paesi occidentali siamo solo un gigantesco peccato da cancellare con il nostro stesso sangue. Dall'altra assistiamo impotenti al "fallimento" economico e finanziario della Grecia. Solo negli ultimi tempi abbiamo sentito qualche voce che ricordava come la Grecia è proprio la culla della nostra civiltà occidentale. Qualcuno ha fatto ancora il nome di Eschilo, di Socrate, di Platone e di altri. Non sappiamo quanti siano in grado di ricordarne il messaggio in in un mondo occidentale che sembra aver fatto della banalità la propria norma di pensiero. Possiamo anche fermarci a ricordare che, ben prima dei Franchi a Poitiers, sono stati proprio i Greci di Bisanzio a fermare nel VII secolo d.C. l'avanzata degli Arabi durante un assedio che si protrasse per anni e che i Greci riuscirono a vincere grazie al "fuoco greco", la "bomba atomica" del tempo, messa a punto grazie alla propensione tutta greca alle ricerche sulla natura.
Oggi, giorno del referendum sul sì o sul no alle misure economiche imposte dalla finanza mondiale come prezzo del "salvataggio" dalla bancarotta, ci piace ricordare come la più densa ed efficace formulazione dei principi laici su cui fonda l'attuale Europa ci sia stata fornita da Tucidide, lo storico della Guerra del Peloponneso, vissuto nella seconda metà del V secolo a. C. Si tratta del famoso "Epitaffio" pronunciato da Pericle in occasione della sepoltura dei caduti ateniesi nel primo anno di guerra. Essi sono morti per un altissimo ideale civile e non religioso: lo potremmo definire the athenian way of life, per parafrasare un'espressione americana divenuta celebre. Pericle stesso sarebbe morto di peste entro pochi mesi. Insieme con lui morirà anche l'Atene migliore: poi la città cadrà preda dei demagoghi e la guerra sarà perduta. Si potrebbe anche aggiungere che la Grecia sia stata allora, come oggi, la peggior nemica di se stessa. Non si finisce mai di riflettere intorno a queste parole del Pericle di Tucidide. Riportiamo solo alcuni brani, con una traduzione che non è nostra, ma ci sembra abbastanza affidabile, recuperata da un sito di internet pubblico. Per ora, nella fretta della circostanza odierna, ci limitiamo a questo: forse la correggeremo prossimamente, se avremo tempo e possibilità.

Andrea Salvini

[2.37.1] 'Χρώμεθα γὰρ πολιτείαι οὐ ζηλούσηι τοὺς τῶν πέλας νόμους, παράδειγμα δὲ μᾶλλον αὐτοὶ ὄντες τισὶν ἢ μιμούμενοι ἑτέρους. καὶ ὄνομα μὲν διὰ τὸ μὴ ἐς ὀλίγους ἀλλ' ἐς πλείονας οἰκεῖν δημοκρατία κέκληται· μέτεστι δὲ κατὰ μὲν τοὺς νόμους πρὸς τὰ ἴδια διάφορα πᾶσι τὸ ἴσον, κατὰ δὲ τὴν ἀξίωσιν, ὡς ἕκαστος ἔν τωι εὐδοκιμεῖ, οὐκ ἀπὸ μέρους τὸ πλέον ἐς τὰ κοινὰ ἢ ἀπ' ἀρετῆς προτιμᾶται, οὐδ' αὖ κατὰ πενίαν, ἔχων γέ τι ἀγαθὸν δρᾶσαι τὴν πόλιν, ἀξιώματος ἀφανείαι κεκώλυται. [2.37.2] ἐλευθέρως δὲ τά τε πρὸς τὸ κοινὸν πολιτεύομεν καὶ ἐς τὴν πρὸς ἀλλήλους τῶν καθ' ἡμέραν ἐπιτηδευμάτων ὑποψίαν, οὐ δι' ὀργῆς τὸν πέλας, εἰ καθ' ἡδονήν τι δρᾶι, ἔχοντες, οὐδὲ ἀζημίους μέν, λυπηρὰς δὲ τῆι ὄψει ἀχθηδόνας προστιθέμενοι. [2.37.3] ἀνεπαχθῶς δὲ τὰ ἴδια προσομιλοῦντες τὰ δημόσια διὰ δέος μάλιστα οὐ παρανομοῦμεν, τῶν τε αἰεὶ ἐν ἀρχῆι ὄντων ἀκροάσει καὶ τῶν νόμων, καὶ μάλιστα αὐτῶν ὅσοι τε ἐπ' ὠφελίαι τῶν ἀδικουμένων κεῖνται καὶ ὅσοι ἄγραφοι ὄντες αἰσχύνην ὁμολογουμένην φέρουσιν.
[2.38.1] 'Καὶ μὴν καὶ τῶν πόνων πλείστας ἀναπαύλας τῆι γνώμηι ἐπορισάμεθα, ἀγῶσι μέν γε καὶ θυσίαις διετησίοις νομίζοντες, ἰδίαις δὲ κατασκευαῖς εὐπρεπέσιν, ὧν καθ' ἡμέραν ἡ τέρψις τὸ λυπηρὸν ἐκπλήσσει. [2.38.2] ἐπεσέρχεται δὲ διὰ μέγεθος τῆς πόλεως ἐκ πάσης γῆς τὰ πάντα, καὶ ξυμβαίνει ἡμῖν μηδὲν οἰκειοτέραι τῆι ἀπολαύσει τὰ αὐτοῦ ἀγαθὰ γιγνόμενα καρποῦσθαι ἢ καὶ τὰ τῶν ἄλλων ἀνθρώπων.

[XXXVII] Viviamo infatti in un sistema di governo che non invidia le leggi dei vicini, ma anzi siamo noi d’esempio per alcuni piuttosto che imitare altri. E il suo nome, a motivo dell’essere amministrata non nell’interesse dei pochi ma dei molti, è democrazia, e secondo le leggi ciascuno ha pari diritti nelle dispute private, e per quanto riguarda la considerazione dei cittadini ognuno, secondo quanto si distingue in qualche campo, nell’amministrare le faccende pubbliche non è stimato per la classe sociale da cui proviene più che per il suo valore, né d’altronde la povertà, se si è in grado di fare qualcosa di buono per la città, è d’ostacolo a causa dell’oscurità del rango. Liberamente governiamo gli interessi pubblici e anche l’ostilità reciproca nell’ambito dei contatti quotidiani, senza adirarci con il vicino se fa qualcosa per il proprio piacere, e senza infliggerci molestie certo non passibili di punizione ma comunque spiacevoli a vedersi. Mentre conviviamo in privato senza offenderci, nelle faccende pubbliche non violiamo le leggi soprattutto per timore, per obbedienza a coloro che di volta in volta reggono il potere e alle leggi, in particolare a quelle che sono stabilite per proteggere le vittime d’ingiustizia e a quelle che, pur non scritte, portano unanime disonore di fronte alla comunità.[XXXVIII] Inoltre ci procuriamo con l’ingegno il massimo sollievo dalle fatiche, stabilendo per legge agoni e sacrifici annuali, e in privato con arredi eleganti, il diletto dei quali di giorno in giorno scaccia dai cuori il dolore. Grazie all’influenza della città ogni genere di mercanzia è importata da tutto il mondo, e ne consegue che per noi i prodotti di questa terra non hanno un gusto più familiare di quelli degli altri popoli.  (Tucidide, La Guerra del Peloponneso, II, 38‑39)


[2.40.1] 'Φιλοκαλοῦμέν τε γὰρ μετ' εὐτελείας καὶ φιλοσοφοῦμεν ἄνευ μαλακίας· πλούτωι τε ἔργου μᾶλλον καιρῶι ἢ λόγου κόμπωι χρώμεθα, καὶ τὸ πένεσθαι οὐχ ὁμολογεῖν τινὶ αἰσχρόν, ἀλλὰ μὴ διαφεύγειν ἔργωι αἴσχιον. [2.40.2] ἔνι τε τοῖς αὐτοῖς οἰκείων ἅμα καὶ πολιτικῶν ἐπιμέλεια, καὶ ἑτέροις πρὸς ἔργα τετραμμένοις τὰ πολιτικὰ μὴ ἐνδεῶς γνῶναι· μόνοι γὰρ τόν τε μηδὲν τῶνδε μετέχοντα οὐκ ἀπράγμονα, ἀλλ' ἀχρεῖον νομίζομεν, καὶ οἱ αὐτοὶ ἤτοι κρίνομέν γε ἢ ἐνθυμούμεθα ὀρθῶς τὰ πράγματα, οὐ τοὺς λόγους τοῖς ἔργοις βλάβην ἡγούμενοι, ἀλλὰ μὴ προδιδαχθῆναι μᾶλλον λόγωι πρότερον ἢ ἐπὶ ἃ δεῖ ἔργωι ἐλθεῖν. [2.40.3] διαφερόντως γὰρ δὴ καὶ τόδε ἔχομεν ὥστε τολμᾶν τε οἱ αὐτοὶ μάλιστα καὶ περὶ ὧν ἐπιχειρήσομεν ἐκλογίζεσθαι· ὃ τοῖς ἄλλοις ἀμαθία μὲν θράσος, λογισμὸς δὲ ὄκνον φέρει. κράτιστοι δ' ἂν τὴν ψυχὴν δικαίως κριθεῖεν οἱ τά τε δεινὰ καὶ ἡδέα σαφέστατα γιγνώσκοντες καὶ διὰ ταῦτα μὴ ἀποτρεπόμενοι ἐκ τῶν κινδύνων. [2.40.4] καὶ τὰ ἐς ἀρετὴν ἐνηντιώμεθα τοῖς πολλοῖς· οὐ γὰρ πάσχοντες εὖ, ἀλλὰ δρῶντες κτώμεθα τοὺς φίλους. βεβαιότερος δὲ ὁ δράσας τὴν χάριν ὥστε ὀφειλομένην δι' εὐνοίας ὧι δέδωκε σώιζειν· ὁ δὲ ἀντοφείλων ἀμβλύτερος, εἰδὼς οὐκ ἐς χάριν, ἀλλ' ἐς ὀφείλημα τὴν ἀρετὴν ἀποδώσων. [2.40.5] καὶ μόνοι οὐ τοῦ ξυμφέροντος μᾶλλον λογισμῶι ἢ τῆς ἐλευθερίας τῶι πιστῶι ἀδεῶς τινὰ ὠφελοῦμεν.
[2.41.1] 'Ξυνελών τε λέγω τήν τε πᾶσαν πόλιν τῆς Ἑλλάδος παίδευσιν εἶναι καὶ καθ' ἕκαστον δοκεῖν ἄν μοι τὸν αὐτὸν ἄνδρα παρ' ἡμῶν ἐπὶ πλεῖστ' ἂν εἴδη καὶ μετὰ χαρίτων μάλιστ' ἂν εὐτραπέλως τὸ σῶμα αὔταρκες παρέχεσθαι. [2.41.2] καὶ ὡς οὐ λόγων ἐν τῶι παρόντι κόμπος τάδε μᾶλλον ἢ ἔργων ἐστὶν ἀλήθεια, αὐτὴ ἡ δύναμις τῆς πόλεως, ἣν ἀπὸ τῶνδε τῶν τρόπων ἐκτησάμεθα, σημαίνει. [2.41.3] μόνη γὰρ τῶν νῦν ἀκοῆς κρείσσων ἐς πεῖραν ἔρχεται, καὶ μόνη οὔτε τῶι πολεμίωι ἐπελθόντι ἀγανάκτησιν ἔχει ὑφ' οἵων κακοπαθεῖ οὔτε τῶι ὑπηκόωι κατάμεμψιν ὡς οὐχ ὑπ' ἀξίων ἄρχεται.[2.41.4] μετὰ μεγάλων δὲ σημείων καὶ οὐ δή τοι ἀμάρτυρόν γε τὴν δύναμιν παρασχόμενοι τοῖς τε νῦν καὶ τοῖς ἔπειτα θαυμασθησόμεθα, καὶ οὐδὲν προσδεόμενοι οὔτε Ὁμήρου ἐπαινέτου οὔτε ὅστις ἔπεσι μὲν τὸ αὐτίκα τέρψει, τῶν δ' ἔργων τὴν ὑπόνοιαν ἡ ἀλήθεια βλάψει, ἀλλὰ πᾶσαν μὲν θάλασσαν καὶ γῆν ἐσβατὸν τῆι ἡμετέραι τόλμηι καταναγκάσαντες γενέσθαι, πανταχοῦ δὲ μνημεῖα κακῶν τε κἀγαθῶν ἀίδια ξυγκατοικίσαντες. [2.41.5] περὶ τοιαύτης οὖν πόλεως οἵδε τε γενναίως δικαιοῦντες μὴ ἀφαιρεθῆναι αὐτὴν μαχόμενοι ἐτελεύτησαν, καὶ τῶν λειπομένων πάντα τινὰ εἰκὸς ἐθέλειν ὑπὲρ αὐτῆς κάμνειν.

 [XL] “Amiamo infatti il bello con moderazione e il sapere senza debolezza; ci serviamo della ricchezza più come occasione per agire che come vanto nei discorsi, e ammettere la povertà non è vergogna per nessuno, ma non tentare di porvi rimedio coi fatti lo è assai di più. E negli stessi cittadini troviamo la cura per i propri affari privati insieme con quelli pubblici e la capacità di non disconoscere gli interessi della città pur rivolgendosi ciascuno alle proprie imprese: infatti siamo i soli a considerare colui che non si cura affatto di queste cose non una persona tranquilla, ma un incapace; a nostra volta giudichiamo e riflettiamo con attenzione sulle situazioni, ritenendo che i ragionamenti non siano dannosi per l’azione, bensì lo sia il non prepararsi in anticipo con il ragionamento prima di intraprendere nei fatti quanto è necessario. Ci distinguiamo certo anche in questo, che sempre noi sappiamo essere audaci al massimo grado e nel contempo fare i nostri calcoli su quanto ci accingiamo a fare: laddove agli altri l’ignoranza porta coraggio, il ragionamento esitazione. E giustamente si debbono giudicare i più forti nell’animo coloro che sanno chiaramente cos’è più terribile e cos’è dolce e non per questo sono distolti dai pericoli. E anche nel valore ci contrapponiamo ai più: ci conquistiamo alleati non ricevendo benefici, bensì procurandone. Infatti chi fa favori resta un alleato più sicuro, in modo da conservare un debito di gratitudine da parte di colui che li ha ricevuti attraverso la benevolenza; mentre chi ricambia un favore è meno saldo, sapendo che sta ripagando il valore non per ottenere gratitudine ma per estinguere un debito. E noi soltanto portiamo aiuto a ciascuno in considerazione non del calcolo dell’utile più che della fiducia nella libertà. [XLI] Insomma io affermo che tutta la città è la scuola dell’Ellade, e che mi pare che ciascun cittadino presso di voi rivolga la propria individualità alle forme più diverse e con somma grazia e versatilità. E che queste parole non siano l’ornamento improvvisato di un discorso piuttosto che la realtà dei fatti lo insegna la potenza stessa della città, che abbiamo conquistato grazie a queste usanze. Lei sola tra le contemporanee supera alla prova dei fatti la propria fama, e sola non dà al nemico che la assale motivo di sdegno per la sconfitta subita né al suddito motivo di rimprovero per non essere dominato da uomini degni. E avendo mostrato la nostra potenza con grandi esempi e non senza testimonianze saremo ammirati dai contemporanei come dai posteri, senza aver bisogno né delle lodi di un Omero né di qualcuno che con le parole offra un diletto immediato, mentre la verità dei fatti va a deludere le aspettative, bensì avendo costretto il mare intero e la terra ad aprirsi al nostro passo audace, costruendo ovunque monumenti delle nostre sconfitte e delle nostre vittorie. Per una tale città dunque costoro sono caduti combattendo nobilmente, ritenendo ingiusto esserne privati, e conviene che ciascuno dei sopravvissuti sia pronto a soccombere per lei. (Tucidide, La Guerra del Peloponneso, II,40-41)




Nessun commento:

Posta un commento