A proposito di antisemitismo
Sarà utile ricordare, nel
Giorno della Memoria, che l'antisemitismo non è un'invenzione recente. Nella
Roma augustea, verso la fine del I secolo a. C. gli Ebrei erano numerosi e
colmi di fervore, dato che, secondo la nota profezia di Daniele (Dn, 9, 20 e
sgg), il Messia stava per giungere ed essi sentivano come una necessità
assoluta convincere il mondo ad accoglierlo. In almeno due passi delle sue
ammiratissime Satire il pagano Orazio (65 - 8 a. C.) manifesta la sua
distaccata sufficienza, per non dire il suo disprezzo, verso gli Ebrei. Il
primo si trova proprio alla fine della Satira IV, dove egli ci rivela che la
sua poesia satirica nasce dopo una sorta di esame di coscienza laico che egli
compie tra sé e sé chiuso in casa la sera: al termine di esso Orazio mette su
carta le sue osservazioni sui vizi degli uomini. Questo, egli dice, è un
difetto dei più piccoli e, se qualcuno non sarà d'accordo con lui, chiamerà in
aiuto gli altri poeti: saranno una vera e propria folla, che, come un gruppo di
Ebrei zelanti e ansiosi di far proseliti, lo circonderà e lo costringerà,
volente o nolente, a passare dalla loro parte:
...
haec ego mecum
conpressis agito labris; ubi
quid datur oti,
inludo chartis. hoc est mediocribus
illis
ex vitiis unum; cui si
concedere
nolis,
multa poetarum veniat manus,
auxilio quae
sit mihi—nam multo plures
sumus—, ac veluti te
Iudaei cogemus in hanc
concedere turbam. (Serm. I, 4, vv. 136 - 142)
Il
secondo passo è più noto: si trova nella Satira I, 9, quella che vede
protagonista un poeta da strapazzo, seccatore patentato, che abborda per la
strada Orazio con lo scopo di farsi introdurre nell'ambiente di Mecenate. Verso
la fine del componimento leggiamo che Orazio, sempre con il seccatore alle
costole, incontra l'amico Aristio Fusco e cerca di farsi liberare
dall'inopportuno compagno di strada. Fusco provoca il poeta chiedendogli se
vuol venire a "prendere a pernacchie i Giudei circoncisi" (vin tu
curtis Iudaeis oppedere) mentre stanno celebrando i loro riti del sabato.
Orazio finge di abboccare dicendo di essere pronto a seguirlo e di non avere
scrupoli religiosi (nulla mihi, inquam, relligio est). A quel punto Fusco si
defila, dicendo invece di averne, di essere uno dei tanti, non uno spirito
forte come il Venosino:
Fuscus Aristius occurrit, mihi carus
et illum
qui pulchre nosset. consistimus. 'unde
venis et
quo tendis?' rogat et respondet. vellere
coepi
et pressare manu lentissima bracchia,
nutans,
distorquens oculos, ut me eriperet. male
salsus
ridens dissimulare; meum iecur urere bilis.
'certe nescio quid secreto velle loqui te
aiebas mecum.' 'memini bene, sed meliore
tempore dicam; hodie tricensima sabbata:
vin tu
curtis Iudaeis oppedere?' 'nulla mihi'
inquam
'relligio est.' 'at mi: sum paulo infirmior,
unus
multorum. ignosces; alias loquar.' (Serm. I, 9, vv.
60-71)
Andrea Salvini
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