domenica 26 gennaio 2014


A proposito di antisemitismo

Sarà utile ricordare, nel Giorno della Memoria, che l'antisemitismo non è un'invenzione recente. Nella Roma augustea, verso la fine del I secolo a. C. gli Ebrei erano numerosi e colmi di fervore, dato che, secondo la nota profezia di Daniele (Dn, 9, 20 e sgg), il Messia stava per giungere ed essi sentivano come una necessità assoluta convincere il mondo ad accoglierlo. In almeno due passi delle sue ammiratissime Satire il pagano Orazio (65 - 8 a. C.) manifesta la sua distaccata sufficienza, per non dire il suo disprezzo, verso gli Ebrei. Il primo si trova proprio alla fine della Satira IV, dove egli ci rivela che la sua poesia satirica nasce dopo una sorta di esame di coscienza laico che egli compie tra sé e sé chiuso in casa la sera: al termine di esso Orazio mette su carta le sue osservazioni sui vizi degli uomini. Questo, egli dice, è un difetto dei più piccoli e, se qualcuno non sarà d'accordo con lui, chiamerà in aiuto gli altri poeti: saranno una vera e propria folla, che, come un gruppo di Ebrei zelanti e ansiosi di far proseliti, lo circonderà e lo costringerà, volente o nolente, a passare dalla loro parte:  

           ...                            haec ego mecum

conpressis agito labris; ubi quid datur oti,

inludo chartis. hoc est mediocribus illis

ex vitiis unum; cui si concedere nolis,               
multa poetarum veniat manus, auxilio quae

sit mihi—nam multo plures sumus—, ac veluti te

Iudaei cogemus in hanc concedere turbam. (Serm. I, 4, vv. 136 - 142)


Il secondo passo è più noto: si trova nella Satira I, 9, quella che vede protagonista un poeta da strapazzo, seccatore patentato, che abborda per la strada Orazio con lo scopo di farsi introdurre nell'ambiente di Mecenate. Verso la fine del componimento leggiamo che Orazio, sempre con il seccatore alle costole, incontra l'amico Aristio Fusco e cerca di farsi liberare dall'inopportuno compagno di strada. Fusco provoca il poeta chiedendogli se vuol venire a "prendere a pernacchie i Giudei circoncisi" (vin tu curtis Iudaeis oppedere) mentre stanno celebrando i loro riti del sabato. Orazio finge di abboccare dicendo di essere pronto a seguirlo e di non avere scrupoli religiosi (nulla mihi, inquam, relligio est). A quel punto Fusco si defila, dicendo invece di averne, di essere uno dei tanti, non uno spirito forte come il Venosino:

Fuscus Aristius occurrit, mihi carus
et illum
qui pulchre nosset. consistimus. 'unde
venis et
quo tendis?' rogat et respondet. vellere
coepi
et pressare manu lentissima bracchia,
nutans,
distorquens oculos, ut me eriperet. male salsus               
ridens dissimulare; meum iecur urere bilis.

'certe nescio quid secreto velle loqui te

aiebas mecum.' 'memini bene, sed meliore 

tempore dicam; hodie tricensima sabbata:
vin tu
curtis Iudaeis oppedere?' 'nulla mihi' inquam               
'relligio est.' 'at mi: sum paulo infirmior,
unus
multorum. ignosces; alias loquar.' (Serm. I, 9, vv. 60-71)


Andrea Salvini

Nessun commento:

Posta un commento