sabato 19 aprile 2014


Lotte politiche

"...Superioribus annis taciti indignabamini aerarium expilari, reges et populos liberos paucis nobilibus vectigal pendere, penes eosdem et summam gloriam et maximas divitias esse. Tamen haec talia facinora impune suscepisse parum habuere, itaque postremo leges, maiestas vestra, divina et humana omnia hostibus tradita sunt. Neque eos qui ea fecere pudet aut paenitet, sed incedunt per ora vestra magnifici, sacerdotia et consulatus, pars triumphos suos ostentantes; proinde quasi ea honori, non praedae habeant. Servi aere parati iniusta imperia dominorum non perferunt; vos, Quirites, in imperio nati aequo animo servitutem toleratis? At qui sunt ii, qui rem publicam occupavere? Homines sceleratissimi, cruentis manibus, immani avaritia, nocentissimi et idem superbissimi, quibus fides decus pietas, postremo honesta atque inhonesta omnia quaestui sunt. ... (Sallustio, Bellum Iugurthinum, 31)


Siamo a Roma, nel clima torbido e infuocato degli ultimi anni del II secolo a.C. Il lungo, sanguinoso e tormentato confronto fra optimates e populares ha avuto inizio circa vent'anni prima con la brutale soppressione di Tiberio Gracco in Senato, episodio che si potrebbe vedere come il "Caso Moro" dell'epoca. La classe dirigente romana non vuole assolutamente rinunciare ad una parte delle proprie ricchezze e del proprio potere per salvare la compattezza della società e dello Stato. Una guerra di second'ordine, quale è quella contro il re africano Giugurta, fa riesplodere il conflitto politico e sociale in Italia. La classe dirigente, e dominante, degli optimates conduce la campagna militare in modo scandalosamente arrendevole ed è pronta a qualunque tipo di compromesso pur di disimpegnarsi al più presto, compreso il farsi corrompere dall'oro del "tirannello" africano.
Gaio Memmio, uno dei leader dei populares, pronuncia un discorso veemente davanti al popolo romano in cui denuncia le malefatte degli optimates. Ci sembrano particolarmente interessanti le prime righe del brano che abbiamo riportato: negli anni precedenti ci si sdegnava in silenzio che l'erario venisse saccheggiato [aerarium expilari], che re e popoli liberi pagassero il tributo a pochi nobili, che nelle mani delle stesse persone si trovasse la suprema gloria e le più grandi ricchezze [penes eosdem et summam gloriam et maximas divitias esse].
Ancora più interessanti le ultime righe del brano che abbiamo proposto. Chi sono quelli che si sono impadroniti dello Stato? [At qui sunt ii, qui rem publicam occupavere?] Uomini rotti a ogni crimine, dalle mani insanguinate, dalla smisurata avidità, disposti ad ogni crimine e allo staesso tempo pieni di superbia, per i quali i valori più sacri [fides decus pietas] sono fonte di guadagno...
Vediamo qui, insomma, la denigrazione pubblica e violenta della classe dirigente, resa possibile dalla natura parzialmente democratica della Repubblica romana e dalla forza che aveva assunto in quegli anni il partito dei populares. Assaporiamo questo clima politico tormentato attraverso Sallustio, vero maestro di chi scrive di storia, e viene inevitabile fare qualche confronto con quanto vediamo e sentiamo ogni giorno. Cerchiamo di ricordare da quando ci vengono additati come scandali gli "stipendi d'oro" e le "auto blu", le "mazzette"... e ci sembra di vivere in questo clima già da troppo tempo.

Andrea Salvini

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