Lotte politiche
"...Superioribus annis taciti indignabamini aerarium
expilari, reges et populos liberos paucis nobilibus vectigal pendere, penes
eosdem et summam gloriam et maximas divitias esse. Tamen haec talia facinora
impune suscepisse parum habuere, itaque postremo leges, maiestas vestra, divina
et humana omnia hostibus tradita sunt. Neque eos qui ea fecere pudet aut
paenitet, sed incedunt per ora vestra magnifici, sacerdotia et consulatus, pars
triumphos suos ostentantes; proinde quasi ea honori, non praedae habeant. Servi
aere parati iniusta imperia dominorum non perferunt; vos, Quirites, in imperio
nati aequo animo servitutem toleratis? At qui sunt ii, qui rem publicam
occupavere? Homines sceleratissimi, cruentis manibus, immani avaritia, nocentissimi
et idem superbissimi, quibus fides decus pietas, postremo honesta atque
inhonesta omnia quaestui sunt. ... (Sallustio, Bellum Iugurthinum, 31)
Siamo a Roma, nel clima torbido e infuocato degli ultimi
anni del II secolo a.C. Il lungo, sanguinoso e tormentato confronto fra optimates e populares ha avuto inizio circa vent'anni prima con la brutale
soppressione di Tiberio Gracco in Senato, episodio che si potrebbe vedere come
il "Caso Moro" dell'epoca. La classe dirigente romana non vuole
assolutamente rinunciare ad una parte delle proprie ricchezze e del proprio
potere per salvare la compattezza della società e dello Stato. Una guerra di
second'ordine, quale è quella contro il re africano Giugurta, fa riesplodere il
conflitto politico e sociale in Italia. La classe dirigente, e dominante, degli
optimates conduce la campagna
militare in modo scandalosamente arrendevole ed è pronta a qualunque tipo di
compromesso pur di disimpegnarsi al più presto, compreso il farsi corrompere
dall'oro del "tirannello" africano.
Gaio Memmio, uno dei leader
dei populares, pronuncia un discorso veemente davanti
al popolo romano in cui denuncia le malefatte degli optimates. Ci sembrano particolarmente interessanti le prime righe
del brano che abbiamo riportato: negli anni precedenti ci si sdegnava in silenzio
che l'erario venisse saccheggiato [aerarium
expilari], che re e popoli liberi pagassero il tributo a pochi nobili, che
nelle mani delle stesse persone si trovasse la suprema gloria e le più grandi
ricchezze [penes eosdem et summam gloriam
et maximas divitias esse].
Ancora più interessanti le ultime righe del brano che
abbiamo proposto. Chi sono quelli che si sono impadroniti dello Stato? [At qui sunt ii, qui rem publicam occupavere?]
Uomini rotti a ogni crimine, dalle mani insanguinate, dalla smisurata avidità,
disposti ad ogni crimine e allo staesso tempo pieni di superbia, per i quali i
valori più sacri [fides decus pietas]
sono fonte di guadagno...
Vediamo qui, insomma, la denigrazione pubblica e violenta
della classe dirigente, resa possibile dalla natura parzialmente democratica
della Repubblica romana e dalla forza che aveva assunto in quegli anni il
partito dei populares. Assaporiamo questo
clima politico tormentato attraverso Sallustio, vero maestro di chi scrive di
storia, e viene inevitabile fare qualche confronto con quanto vediamo e
sentiamo ogni giorno. Cerchiamo di ricordare da quando ci vengono additati come
scandali gli "stipendi d'oro" e le "auto blu", le
"mazzette"... e ci sembra di vivere in questo clima già da troppo
tempo.
Andrea Salvini
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