Indisciplina a scuola, ieri e oggi.
Vtinam liberorum nostrorum mores non ipsi
perderemus! Infantiam statim deliciis solvimus. Mollis illa educatio, quam
indulgentiam vocamus, nervos omnis mentis et corporis frangit. Quid non adultus
concupiscet qui in purpuris repit? Nondum prima verba exprimit, iam coccum
intellegit, iam conchylium poscit. VII. Ante palatum eorum quam os instituimus.
In lecticis crescunt: si terram attigerunt, e manibus utrimque sustinentium
pendent. Gaudemus si quid licentius dixerint: verba ne Alexandrinis quidem
permittenda deliciis risu et osculo excipimus. Nec mirum: nos docuimus, ex
nobis audierunt; VIII. nostras amicas, nostros concubinos vident; omne
convivium obscenis canticis strepit, pudenda dictu spectantur. Fit ex his
consuetudo, inde natura. Discunt haec miseri antequam sciant vitia esse: inde
soluti ac fluentes non accipiunt ex scholis mala ista, sed in scholas adferunt.
(Quintiliano, Institutio oratoria, I,
2, VI e sgg.)
A chi vive quotidianamente la cosiddetta emergenza educativa,
argomento di cui oggi si parla poco, abbiamo dedicato il brano di Quintiliano in
apertura. Ci sembra assai eloquente, senza eccessivi commenti. Speriamo possa
far riflettere chi si è comportato quasi sempre da amico e poco da
genitore nei confronti del proprio figlio adolescente, ribelle e sempre
pronto a rispondere con parolacce.
Secondo Quintiliano, il maggiore pedagogista dell'Antichità,
l'educazione mollis, che viene
chiamata "indulgenza" fiacca ogni vigore della mente e del corpo dei bambini (Mollis illa educatio, quam indulgentiam
vocamus, nervos omnis mentis et corporis frangit). Siamo lieti se essi diranno
qualcosa di alquanto sconveniente: parole che non si devono permettere neanche
ai cinedi di Alessandria, le accogliamo con un sorriso e con un bacio (Gaudemus si quid licentius dixerint: verba
ne Alexandrinis quidem permittenda deliciis risu et osculo excipimus). I
bambini vedono le nostre amanti, i nostri concubini, ogni banchetto risuona di
canzoni oscene: essi stanno a guardare cose vegognose a dirsi (nostras amicas, nostros concubinos vident;
omne convivium obscenis canticis strepit, pudenda dictu spectantur).
Imparano certe cose prima di sapere che sono vizi, poi li portano dentro la
scuola... con i risultati che ognuno può immaginare.
Circa tre secoli dopo Quintiliano, sant'Agostino ci fa
intravedere qualche altro aspetto della scuola dei suoi tempi, certo non molto
incoraggiante. Egli si reca a Roma spinto soprattutto dal desiderio di trovare
studenti più quieti e motivati, il sogno che spinge ogni insegnante a cercare
di cambiare scuola quando sente su di sé il peso di una fatica spesso ingrata:
a Cartagine aveva dovuto subire intemperanze di ogni sorta da parte dei
ragazzi, perfino l'essere costretto a far lezione senza la certezza di ricevere
una paga. Si noti la conclusione: un insegnante di solito non ha mai fatto ciò
a cui si abbandonano i suoi studenti più turbolenti, ma è costretto a subirlo nell'impotenza,
per evitare conseguenze peggiori. Agostino interpreta, e deplora, il comportamento
degli studenti alla luce della sua fede ritrovata: quanti insegnanti possono ancora
fare appello solo ad essa nella scuola contemporanea?
Non ideo Romam pergere volui, quod maiores
quaestus maiorque mihi dignitas ab amicis, qui hoc suadebant, promittebatur
(quamquam et ista ducebant animum tunc meum), sed illa erat causa maxima et
paene sola, quod audiebam quietius ibi studere adulescentes et ordinatiore
disciplinae cohercitione sedari, ne in eius scholam quo magistro non utuntur
passim et proterve inruant, nec eos admitti omnino nisi ille permiserit. contra
apud Carthaginem foeda est et intemperans licentia scholasticorum. inrumpunt
impudenter et prope furiosa fronte perturbant ordinem quem quisque discipulis
ad proficiendum instituerit. multa iniuriosa faciunt mira hebetudine, et
punienda legibus nisi consuetudo patrona sit, hoc miseriores eos ostendens, quo
iam quasi liceat faciunt quod per tuam aeternam legem numquam licebit, et
impune se facere arbitrantur, cum ipsa faciendi caecitate puniantur et
incomparabiliter patiantur peiora quam faciunt. ergo quos mores cum studerem
meos esse nolui, eos cum docerem cogebar perpeti alienos. et ideo placebat ire
ubi talia non fieri omnes qui noverant indicabant.
A raggiungere Roma non fui spinto dalle promesse di più alti
guadagni e di un più alto rango, fattemi dagli amici che mi sollecitavano a
quel passo, sebbene anche questi miraggi allora attirassero il mio spirito. La
ragione prima e quasi l'unica fu un'altra. Sentivo dire che laggiù i giovani
studenti erano più quieti e placati dalla coercizione di una disciplina meglio
regolata; perciò non si precipitano alla rinfusa e sfrontatamente nelle scuole
di un maestro diverso dal proprio, ma non vi sono affatto ammessi senza il suo
consenso. Invece a Cartagine l'eccessiva libertà degli scolari è indecorosa e
sregolata. Irrompono sfacciatamente nelle scuole, e col volto, quasi, di una
furia vi sconvolgono l'ordine instaurato da ogni maestro fra i discepoli per il
loro profitto; commettono un buon numero di ribalderie incredibilmente
sciocche, che la legge dovrebbe punire, se non avessero il patrocinio della
tradizione. Ciò rivela una miseria ancora maggiore, se compiono come lecita
un'azione che per la tua legge eterna non lo sarà mai, e pensano di agire impunemente,
mentre la stessa cecità del loro agire costituisce un castigo; così quanto
subiscono è incomparabilmente peggio di quanto fanno. Io, che da studente non
avevo mai voluto contrarre simili abitudini, da maestro ero costretto a
tollerarle negli altri. (S. Agostino, Confessiones,
V, 8, 14; traduzione dal sito www.augustinus.it)
Andrea Salvini
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